Provvigione : Quando il mediatore ha diritto al suo compenso?

L’istituto della mediazione immobiliare riguarda quell’attività volta ad agevolare la circolazione dei beni immobili mediante l’affidamento ad un professionista – appunto il mediatore – in tedesco “Makler” – del compito di reperire e relazionare possibili acquirenti/venditore.

In forza dell’art. 1754 c.c. il mediatore è infatti “colui che mette in relazione due o più̀ parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza”.

In ragione della posizione intermedia che l’agente immobiliare assume rispetto alle parti, lo stesso viene soventemente definito “intermediario” oppure anche “agente immobiliare”. Ed invero, come espressamente sancito dalla sopra citata disposizione, egli presta la sua opera professionale senza essere legato ad alcuno dei soggetti coinvolti nella pratica commerciale da rapporti di dipendenza, collaborazione o rappresentanza, così mantenendo quel carattere di imparzialità̀ che permette a ciascun contraente di conseguire un equo beneficio dalla conclusione dell’affare.

Il lucro conseguente all’attività̀ del mediatore è detto “provvigione” e risulta compiutamente disciplinato dall’art. 1755 c.c., a tenore del quale “il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti, se l’affare è concluso per effetto del suo intervento”. In altri termini, proprio i caratteri di terzietà̀ ed imparzialità̀ dell’intermediario immobiliare comportano che la provvigione allo stesso spettante vada a gravare su ognuno dei soggetti che hanno preso parte all’affare, a condizione che questo sia stato concluso per effetto dell’attività̀ di mediazione dal medesimo prestata.

A ben vedere, però, le norme relative all’istituto della mediazione non delineano il contenuto specifico dell’attività̀ svolta dall’intermediario immobiliare, limitandosi a stabilire come egli abbia il compito di “mettere in relazione due o più parti per la conclusione di un affare” e possa legittimamente vantare il diritto alla provvigione esclusivamente nell’ipotesi in cui “l’affare è concluso per effetto del suo intervento

In ragione di questa evidente genericità̀, numerose sono dunque le controversie insorte in relazione all’inadempimento del mediatore ai propri obblighi. La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21712 del 26.08.2019, ha tuttavia tentato di fare chiarezza in ordine al contenuto dell’attività̀ di mediazione immobiliare ed al conseguente diritto del medesimo ad ottenere la relativa provvigione stabilendo che ai fini del riconoscimento del diritto dell’agente immobiliare ad ottenere la provvigione è la “messa in relazione” dei soggetti, la quale deve tuttavia costituire l’antecedente imprescindibile per la conclusione dell’affare, e ciò̀ anche se l’attività̀ di mediazione sia in concreto consistita nell’esclusiva individuazione di uno dei contraenti. Una siffatta ricostruzione appare in effetti la più rispondente al dato normativo. Si è visto in apertura come l’art. 1754 c.c. descriva la persona del mediatore come “colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare” e come il successivo art. 1755 c.c. si limiti a condizionare il diritto alla provvigione all’ipotesi in cui l’affare sia stato concluso per effetto del suo intervento, nulla specificando in ordine al reale contenuto della prestazione del mediatore.

Tuttavia, non può consentire di ritenere sussistente in capo al mediatore il diritto alla provvigione nel caso in cui, nonostante l’intervento del medesimo in una prima fase di trattative con esito negativo, le parti abbiano a distanza di tempo concluso l’affare per ragioni che esulano dall’attività di mediazione inizialmente prestata dall’agente (Cass. 22 gennaio 2015 n. 1120, Cass. 2 agosto 2001 n. 10606). Al contrario potrà ottenere il pagamento della provvigione l’intermediario immobiliare che pone in essere un’attività di mediazione ottenendo l’assenso di entrambe le parti alla conclusione di un affare a determinate condizioni, anche se successivamente queste vengono modificate per volontà dei contraenti (Cass. 2 novembre 2010 n. 22273). Il discrimen, dunque, non risiede nella “messa in relazione” dei soggetti, intesa come mero incontro tra due individui, ma attiene più alla convergenza tra le volontà dei medesimi, a cui deve necessariamente pervenirsi attraverso l’opera del mediatore.

1920 1281 Avv. Fontana Ros
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